Dalla Siria storie di quotidiana nonviolenza

Sono siriana, ma non ho vissuto in Siria durante la rivoluzione. La rivoluzione l’ho vissuta da fuori, in Europa. La rivoluzione è sempre stata uno dei miei sogni, dall’estero scrivo cosa è accaduto e cosa sta accadendo ora.

Ora mi trovo con degli attivisti siriani, provenienti da ogni città della Siria nella città turca di Gaziantep, ‘Aintab in arabo, per secoli amministrata da Aleppo. Sembra una città che vuole tornare alla sua storia. Proprio lì, vicino alla cittadella, che assomiglia tanto la cittadella di Aleppo, ci siamo incontrati.

Sapevo che sarei stata molto contenta ed emozionata di incontrarli, ma sono molto di più. Li osservo, pensando a questi tre duri anni, nostalgia e dolore mi riempiano il cuore. Sono giovani, raccontano di guerra, di sangue, di famigliari morti, ma poi scherzano e ridono tra loro. Tutto può essere schiacciato sotto la violenza e finire, ma non la speranza.

Yaser è di Darayya (una città alle porte di Damasco), per me Darayya prima della rivoluzione era una cittadina conservatrice, non sapevo che l’uva buona che si mangia in Siria proviene dalla sua terra. Yaser dice: “dopo tanti massacri da parte del regime a Darayya, siamo riusciti a scappare a Jaramana (un quartiere di Damasco), però io ho continuato ad aiutare la gente assediata lì. Mi protegge un prete cristiano a Jaramana. Quando i servizi di sicurezza mi hanno fermato perchè sono di Darayya e portavo aiuti, il prete è venuto per dire loro che io lavoro per la sua organizzazione per distribuire aiuti ai sfollati”.
“Mai ho pensato”, aggiunge Yaser, “che i cristiani potessero essere così vicini a noi (musulmani) in questo modo. A Darayya prima della rivoluzione, per noi era difficile accettare la presenza di ragazze poco osservanti secondo il nostro punto di vista. Ma ora, non solo io, ma anche i giovani di Darayya, sappiamo che la religione non è un comportamento esteriore. Per la prima volta vedo giovani ragazzi di questa comunità conservatrice, che vogliono sposarsi con ragazze che lo sono di meno”.

Zen el Din è della regione di Idlib, nota per essere controllata da bande islamiche estremiste. Zen dice: “Ci siamo liberati dal regime nella zona di Jabal az Zawieh, non abbiamo una forte presenza di bande estremiste o legate al Qa’ida. Vediamo i cassoni di bombe che scendono dagli aerei. No, non scappiamo, dove possiamo scappare?”. “Vogliamo creare un centro culturale. È vero, tutti parlano dell’importanza e della necessità di portare aiuti di cibo e medicine, però l’aspetto culturale è molto importante. A noi piace anche la vita e ci piace divertirci. Il centro culturale sarà fatto per tutti i cittadini dei villaggi dello Jabal az Zawieh, e per i giovani che hanno studiato nelle scuole e all’università ma che ora non possono andarci, per loro faremo una libreria. Per le famiglie che forse non sanno leggere…, per loro ci sarà il teatro e il cinema”. Ingenuamente ho commentato: “Che bello! Ma allora sta crescendo il ruolo della società civile nella vostra zona”. Mi ha risposto: “non so cosa sia la società civile, so che noi siamo sempre stati ignorati da parte del regime, e ora vogliamo fare quello che sempre abbiamo volute fare”.

Nadin, è una ragazza scappata in Turchia perché documentava le violazioni, ed era perseguitata dal regime. Dice solo: “mi manca la mia università, dicevano sempre che ero la migliore nella facoltà d’ingegneria, da un anno non ci vado”.

Khayyam è di Aleppo, lavora a una campagna fatta da giovani e nata come reazione ai numerosi errori da parte delle bande estremiste, che vogliono imporre la loro ideologia con la forza. Khayyam era sceso a manifestare in modo pacifico contro il regime dal primo giorno. Dice Khayyam: “Il regime ha soppresso le manifestazione più belle, ci hanno bombardato quando non avevamo nulla in mano. Sono stato costretto a entrare nell’Esercito Libero perché ho perso dei familiari. Ma ho guardato quanta violenza c’è, non sopportavo le armi, l’uccisione e la vendetta, anche se le capivo. Ho lasciato le armi, le armi portano solo violenza. Ho deciso di lavorare con la società civile non violenta, ho deciso di ribellarmi contro tutti quelli che non vogliano la Siria libera e democratica, ma in modo non violento”.

Khayyam parlava e io ascoltavo. Un nodo alla gola mi soffocava. Guardavo i suoi pochi anni, quanto ha sofferto e come la sua esperienza lo ha fatto crescere. Guardavo questi giovani attorno a me, con i loro accenti di tutta la Siria. Sento quanto sono orgogliosa, io sono siriana, questi ragazzi sono quelli che mi rappresentano, nè Asad nè i jihadisti, anche se occupano quasi tutti gli spazi dei telegiornali occidentali. Vi prego guardateli, ascoltate bene, loro ci sono. Se abbassate un poco la vostra voce riuscite a sentirli.

Eva Ziedan (Ph.D. 2013) è un’archeologa siriana formatasi alle università di Damasco e Udine. Qui da anni lavora come mediatrice linguistico-culturale per le Acli. Dall’inizio della rivoluzione siriana nel 2011 è impegnata a fianco della società civile del suo Paese e, tramite il portale SiriaLibano.com, nella sensibilizzazione della causa siriana presso l’opinione pubblica italiana. Dall’estate 2013 lavora a un progetto in sostegno dell’attivismo siriano non violento.