Mozambico | Il conflitto uomo-animale

Il Mozambico si estende lungo l’Oceano Indiano con quasi 2500 kmdi coste, andando da 10° a 27° Sud, con una superficie di circa 800.000 km2 è il 35° paese al mondo per estensione,quasi tre volte l’Italia, ed ha una popolazione di appena 23 milioni di abitanti. La densità è, quindi, piuttosto bassa e la popolazione si concentra principalmente in alcune aree, ma, nonostante questo, la maggior parte degli abitanti si dedica ad agricoltura di sussistenza usando la tecnica del taglia a brucia e “consuma” ogni anno porzioni piuttosto grandi di territorio incidendo pesantemente sull’ecosistema.

Subito dopo l’indipendenza dal Portogallo, ottenuta nel 1975, il paese entra in una guerra civile che si protrae per 16 anni e che ha conseguenze estremamente negative anche per la fauna del paese: entrambi gli eserciti delle fazioni in lotta, infatti, cacciano la fauna selvatica, sia per approvvigionarsi di carne, sia per vendere i trofei allo scopo di procurarsi armi e denaro.

La fauna era in parte già provata dai tentativi portoghesi di “ridurre” il conflitto uomo-animale: a dimostrazione di questo il Museo di Storia Naturale di Maputo conserva una collezione più unica che rara, una serie di feti di elefante a diversi gradi di sviluppo, ottenuti durante una incredibile mattanza fatta per liberare i campi del sud dall’ingombrante presenza di questi pachidermi, durante una battuta di caccia ne furono uccisi 2000 .

Ancora adesso il conflitto più importante fra le popolazioni che vivono nei parchi, o nelle zone tampone, e gli animali selvatici è soprattutto legato alla presenza degli elefanti. Decisamente pericolosi se disturbati e troppo grandi per essere scacciati con i sistemi tradizionali questi animali si spostano sulle loro piste tradizionali o ne aprono di nuove in base alla disponibilità di cibo e acqua, possono spostarsi fino a80 kmal giorno in cerca di acqua e hanno bisogno di150 kgdi vegetali al giorno, si muovono assolutamente indifferenti a cosa incontrano sulla loro strada, distruggendo così non solo i campi in cui decidono di cibarsi, ma anche quelli che, semplicemente, vengono attraversati da gruppi di 4-5 animali di 3-6 tonnellate, in base al sesso, e che lasciano impronte larghe fino a50 cme profonde anche altrettanto sul terreno bagnato.

Se si considera che tutti i parchi mozambicani, tranne quello di Gile, hanno all’interno diversi villaggi è facile immaginare che la convivenza all’interno dei parchi non sia delle più facili. Allo stato attuale non esistono compensazioni sistematiche per i danni che gli animali creano all’agricoltura e occorre tenere conto anche del fatto che in queste zone si tratta di agricoltura di sostentamento e, quindi, se è l’elefante, o il facocero o la scimmia, a mangiare il raccolto significa che non resta cibo per la famiglia che l’ha coltivato.

È dunque chiaro che solo un’attenta gestione dei parchi in cui ci si basi soprattutto su attività che coinvolgano e forniscano un reddito alternativo all’agricoltura, come l’ecoturismo, alle popolazioni residenti può far sì che i parchi vengano accettati e che per chi ci vive sia più conveniente proteggere gli animali piuttosto che aiutare i bracconieri o cacciare in prima persona per procurarsi carne.