Archivio mensile:Febbraio 2013

La biodiversità coltivata e l’opera di Vavilov

Molto tempo prima che E. Wilson introducesse la parola biodiversità nel linguaggio comune, numerosi altri pensatori, scienziati, uomini e donne di cultura e azione avevano posto il concetto di biodiversità al centro della propria attenzione. Non c’è tradizione, cultura, religione che non abbia riflettuto sulla ricchezza rappresentata dall’insieme degli esseri viventi che ci circonda e ci nutre e non abbia celebrato, con immagini diverse, i principali caratteri della biodiversità: utilità,  bellezza, complessa dinamicità.

Noè, prima della catastrofe annunciata del diluvio, chiama i propri figli e prepara l’arca, con la quale raccogliere e salvare tutte – nessuna esclusa – le specie animali, che potrà restituire al nuovo mondo riconciliato. Biodiversità, processi evolutivi, vita sulla terra, responsabilità individuale e sociale sono tematiche che si intrecciano da sempre nella nostra storia e che oggi ritornano sulla ribalta degli scenari del mondo  scientifico e politico.

La produzione di diversità è il principale motore dell’evoluzione sia in termini di singoli organismi,  sia in termini di specie: le “speciazioni” imprigionano e conservano variazioni a livello di popolazioni, così come le mutazioni genetiche producono variazioni a livello di individui.

Per poter meglio utilizzare l’energia radiante che il sole ci trasmette, i componenti della biosfera, tutti gli esseri viventi –  vegetali e animali –  tendono a strutturarsi in modo da aumentare la capacità recettiva. Se ci sono recettori multipli e ben differenziati, il rendimento globale energetico aumenta; se rimane un solo tipo di recettore,  il sistema diminuisce il rendimento ed innalza la propria vulnerabilità rispetto ad eventi esterni sfavorevoli.

La biodiversità è quindi l’espressione più esplicita di una strategia di migliore  assetto strutturale, ricercata dinamicamente dalla biosfera.

Con l’agricoltura, l’uomo ha generalmente ridotto la biodiversità, perché si è concentrato solo su alcune piante/colture più convenienti ai fini di una produzione basata su cicli di breve durata e di più facile gestione. La cosiddetta agricoltura industrializzata, frutto della rivoluzione verde, si è sviluppata e diffusa su un modello basato su economie di scala,  frammentazione delle fasi produttive e specializzazione  delle attività, vale a dire, in termini agronomici, monocolture fortemente semplificate e intensificate che riducono o escludono la presenza di un sistema agro-forestale complesso con siepi-filari, fasce tampone boscate o prative, piante avventizie, flora spontanea.

Con l’agricoltura è nata, quindi, una nuova dimensione della biodiversità, che oggi viene indicata come agrobiodiversità, termine che siriferisceal risultato dell’interazione tra processi di selezione naturale e azioni dirette e indirette degli agricoltori, nel corso dei secoli; è quindi una espressione del diverso livello di cultura agro-ecologica, socio-economica e politica di una società.  Le scelte gestionali individuali e collettive dell’agrobiodiversità influiscono fortemente sui livelli quali-quantitativi e  sulla stabilità delle produzioni alimentari, sulla sostenibilità dei sistemi aziendali e agrari  a scala territoriale, sui delicati rapporti strutturali e funzionali caratterizzanti il paesaggio agrario.

Su scala mondiale, l’attuale assetto dell’agricoltura assomiglia molto ad una piramide alta e stretta: delle 250.000 – 500.000 specie di piante esistenti, solo 1.500 sono utilizzate; delle attuali  120 colture di importanza nazionale, solo 15 – 20 rivestono importanza globale,  il 90 % dell’energia e delle proteine proviene da 15 colture e 8 specie animali.  Tra le specie coltivate solo tre colture, frumento (Triticum spp.), riso (Oryza spp.) e mais (Zea mays) forniscono oltre la metà dell’energia che l’umanità  trae dal cibo (FAO, 1998).  Il numero di varietà coltivate di queste specie agrarie è ancora in forte contrazione;  nel secolo scorso più del 90 % delle varietà coltivate sono scomparse dalla aziende agricole, e sono rimaste presenti in parte nelle collezioni di germoplasma di alcuni istituti di ricerca (gene banks o banche del seme).

E’ passato quasi un secolo da quando uno dei più grandi studiosi di  agrobiodiversità, Nickolay Ivanovich Vavilov, iniziò a collezionare le specie da tutto il mondo per poter capire le potenzialità.

Nel 1932, Vavilov scriveva: “molti problemi storici possono essere capiti solo sulla base delle interazioni tra uomo, animali e piante”. Il lavoro e il pensiero di Vavilov ha formato le basi di molti studi e ricerche di genetica vegetale oggi portati avanti in tutto il mondo; a questo agronomo russo del secolo scorso dobbiamo il concetto di centri di origine delle piante coltivate (Proiskhozhdenie i geografiia kul’turnykh rastenii). Scriveva Vavilov: “i centri di origine della maggior parte delle piante coltivate iniziarono a distinguersi  in aree botaniche  dove erano attivi potenti processi di formazione e selezione di tipologie vegetali. E’ evidente che gli uomini primitivi attraversarono  queste regioni, che sono ricche di associazioni di specie di piante,  incluso un gran numero di piante commestibili”.

Vavilov, negli anni ’20 del secolo scorso,  venne incaricato dal governo sovietico di avviare un programma di profonda trasformazione dell’agricoltura che permettesse,  grazie alla disponibilità di nuove risorse, un successivo progresso industriale. Vavilov basò la sua teoria sugli sviluppi delle teorie Mendeliane secondo cui  il patrimonio genetico di una pianta fornisce il meccanismo per la trasmissione dei caratteri da una generazione all’altra  Vavilov per migliorare i raccolti propose di utilizzare tutta la variabilità di caratteristiche morfo-fisiologiche delle piante modificate dall’uomo e delle antenate, mettendo a frutto sia il lavoro delle numerosissime generazioni di agricoltori sia i doni della natura. Vavilov aveva il proposito di raccogliere in Russia tutto il germoplasma mondiale delle principali colture e per questo creò il VIRV (istituto pan sovietico di coltivazione delle piante) dove coltivò per anni numerosissime varietà di foraggi, di ortaggi, di cereali e frutta tratti da questa ampia raccolta. Il VIRV disponeva anche di una rete di stazioni sperimentali. Iniziò nel 1925 le prime spedizioni in tutte le aree della Russia e, successivamente, in tutti i territori agricoli del mondo. In pochi anni si organizzarono 200 spedizioni in 65 Paesi per portare in URSS più di 150.000 campioni di semi o piante. Nel corso di queste spedizioni Vavilov scoprì l’esistenza dei centri geografici di variabilità delle piante coltivate e il parallelismo delle variazioni nelle specie e nelle famiglie affini (legge delle serie omologhe di variabilità). Egli individuò i centri nelle aree ove riusciva a riscontrare la massima variabilità della specie, vale a dire ove aveva potuto raccogliere materiali vegetali appartenenti alla stessa specie, ma con forme, colori, cicli vitali diversi; allontanandosi dai centri di origine delle colture, questa variabilità diminuiva.

Vavilov, coraggioso raccoglitore di biodiversità, ci ha lasciato una chiave di lettura al tempo stesso botanica, genetica e agronomica, avendo chiarito l’intreccio esistente tra caratteri genetici di una pianta, le sue origini geografiche, l’evoluzione successiva e le potenzialità agronomiche. Lo schema di rappresentazione della biodiversità storico-geografica ed agronomica proposto da Vavilov,  ancora molto attuale, costituisce un potente impianto teorico utile nella interpretazione dei complessi fenomeni co-evolutivi in atto all’interno dei sistemi agro-alimentari di tutto il mondo.

Prof. Stefano Bocchi
PhD in Biologia Vegetale e Produttività della Pianta Coltivata
Università degli Studi di Milano

L’articolo del Prof. Bocchi verrà pubblicato sulla rivista ”Sociedad que Inspira” di La Paz – Bolivia

L’incontro con i candidati alle elezioni politiche

Un significativo gruppo di organizzazioni della società civile promotrici dell’Appello intitolato: “La cooperazione internazionale allo sviluppo: tessuto connettivo della comunità globale” ha incontrato oggi i candidati alle elezioni politiche che hanno risposto all’Appello. In totale, ad oggi (ma le adesioni continuano ad arrivare), hanno aderito oltre 40 Candidati alla Camera o al Senato, provenienti da 7 diversi schieramenti politici (Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà, Scelta Civica con Monti per l’Italia, Partito Socialista Italiano, Rivoluzione Civile con Ingroia, Unione di Centro, Lista Liberali per l’Italia).

Oltre alle adesioni individuali alcuni partiti nel loro insieme hanno aderito e si sono impegnati a perseguire questa vera e propria agenda politica in dieci punti per la Cooperazione: il Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà, Scelta Civica con Monti per l’Italia, il Partito Socialista Italiano.

Al dibattito, condotto dalla giornalista Carmen Lasorella sono stati invitati ad intervenire due rappresentanti per ciascuno schieramento: per il PD Federica Mogherini e Paolo Beni, per SEL Giulio Marcon e Riccardo Sansone, per la Lista Monti Mario Giro e Andrea Olivero, per il PSI Riccardo Nencini e Bobo Craxi, per RCIFlavio Lotti e Alberto Borin, mentre molti altri candidati erano presenti in sala.

I candidati hanno assicurato il loro forte impegno nella prossima legislatura, ciascuno con la propria sensibilità, per realizzare le dieci proposte.

Numerose iniziative concrete sono state lanciate dai candidati per concretizzare subito l’impegno politico forte sui temi della cooperazione, tra questi la principale ci pare essere la creazione di un gruppo interparlamentare (Camera e Senato) dedicato alla Cooperazione. I 40 candidati che hanno aderito all’Appello potrebbero costituire la base di questo gruppo trasversale.

Le organizzazioni promotrici dell’Appello renderanno conto dell’esito di questa giornata ai diversi milioni di cittadini che le sostengono e ne condividono i valori, oltre che ai media e continueranno a sensibilizzare i partiti e i candidati che ancora non hanno risposto all’Appello e, dopo le elezioni, vigileranno affinché gli impegni presi vengano rispettati.

Le organizzazioni promotrici dell’appello

Roma, Mercoledì 6 febbraio 2013

L’appello e l’elenco dei promotori sono disponibili e aggiornati sul sito www.ongs.it

Combattere la violenza domestica a Maputo

Entrando nella sala di accoglienza del centro per le donne vittime di violenza domestica gestito dall’organizzazione Nhamai, nella provincia di Maputo (Mozambico), la prima cosa che si nota è un poster appeso al muro. Nel disegno c’è una donna che cerca di reggere con fatica un cesto per non rimanerne schiacciata, un cesto che contiene dei balloon di scritte: violenza fisica, violenza psicologica, violenza sessuale, violenza sociale, violenza economica, violenza morale. E rivolge agli ospiti una domanda semplice e diretta: “Sapevi che la violenza domestica contro le donne può avere diverse forme?”

“La violenza domestica è un circolo vizioso”, spiega Telma, coordinatrice per il COSV sul progetto. “Parte da forme verbali per diventare fisica ma anche economica. Non sono pochi i casi di donne a cui il marito non permette di lavorare e non passa i soldi, arrivando addirittura a privarle del cibo. E importante che si conoscano le diverse forme che la violenza può prendere, per averne consapevolezza e comprendere che essere moglie non significa essere di proprietà di un uomo”.

Informazione e sensibilizzazione sono fondamentali per far fronte alla larga diffusione dei casi di violenza domestica, che nell’area di intervento del centro Nhamai si stima coinvolgano dal 30% al 45% delle donne. Una diffusione che si collega strettamente al profondo radicamento culturale della violenza: “qui la violenza domestica è parte della normalità delle relazioni coniugali”, continua Telma, “un detto dice – se tuo marito ti picchia, è perché ti ama. Le donne fanno mostra dei segni della violenza subita alle figlie, preparandole a ciò le aspetterà nel matrimonio, e i lividi delle percosse diventano argomento di conversazione. Una situazione che gli attivisti e i mobilizzatori cercano di sradicare, con continue attività di informazione e sensibilizzazione.”

Sono 24 gli attivisti del centro Nhamai formati attraverso il progetto sulla nuova legge mozambicana contro la violenza domestica, sulle sue implicazioni giuridiche e sulle modalità di gestione del conflitto e il supporto psicologico alle vittime. Gli attivisti sono sia uomini che donne, molti dipendenti dei servizi sociali e leader comunitari, e a loro volta hanno formato 80 mobilizzatori sociali che lavorano a stretto contatto con le comunità nei distretti di Matola, Maguede, Namahacha, Matutuine Moamba, Marracuene, Boane, Maputo. Un lavoro portato avanti in stretta connessione con la polizia e i servizi sociali.

“In una delle comunità in cui lavoriamo, siamo venuti a conoscenza di una situazione piuttosto grave in cui la moglie subiva continuamente episodi di violenza fisica da parte del marito” ci ha raccontato uno degli attivisti. “Quando siamo andati a parlare con la famiglia, la donna ci ha detto che si trattava di un affare privato, e che essendo tale doveva rimanere tra le mura domestiche. Ma la violenza domestica non è una questione privata, è un problema profondo della nostra società che parte dal piccolo per allargarsi a tanti ambiti. Le donne reprimono a lungo in silenzio la rabbia per le violenze subite, finché non reagiscono con atti estremi: per questo le carceri in Mozambico sono piene di vittime di abusi che hanno trovato nella vendetta fisica la via di fuga. E’ un problema sociale, ed è per questo che noi lavoriamo informando e sensibilizzando, per arrivare ad un cambiamento culturale”.

Il centro di Nhamai è l’unico nell’area, e ora che sono finiti i lavori di ristrutturazione è tutto pronto per ricevere adeguatamente le ospiti. Qualcuna è già arrivata, trovando nel centro e nel suo staff un supporto materiale, psicologico e giuridico per affrontare un percorso di uscita da una quotidianità fatta di abusi.

Il centro sta anche riscontrando i primi risultati dell’attivazione di piccole attività generatrici di reddito e la relativa formazione alle associate dell’organizzazione Nhamai – attività iniziate con il progetto, sia per rendere sostenibile il centro, sia per permettere il passaggio di competenze alle ospiti. L’allevamento di pollame ha già permesso una prima vendita nel mese di dicembre, con buona soddisfazione per il profitto ottenuto – al netto dei costi sostenuti – e la sartoria sta sperimentando un ottimo periodo: con l’inizio del nuovo anno scolastico (a metà gennaio) sono arrivati ordini per le uniformi degli alunni. Il regolamento scolastico prevede che entro la fine di marzo tutti gli studenti abbiano una divisa adeguata, e a gennaio le famiglie iniziano ad attivarsi per commissionare il lavoro alle sarte. Il centro di Nhamai ha raccolto diversi ordini, anche grazie ad un prezzo scontato, e ci si attende che gli ordini aumentino. Queste attività sono infatti state scelte dopo un’accurata indagine di mercato, che ha messo in evidenza la carenza di questi servizi nell’area.. al momento è anche tutto pronto per il nuovo salone per capelli, che aprirà a breve!